Danni da insidia stradale

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In tema di danni da insidia stradale, la Sentenza del Tribunale di Verona, G.U. Dott. Ernesto D’Amico, n. 1951/2012 si colloca a pieno titolo nel solco ormai definitivamente tracciato da dottrina e giurisprudenza, rivolto ad affermare l’applicabilità tout court dell’art. 2051 c.c. anche al Comune, con riferimento ai tratti di strada comunale rispetto ai quali l’ente pubblico in questione è destinato ad assumere a tutti gli effetti la qualifica di custode.

Non solo. Il Giudice del Tribunale torna a sottolineare, anche sotto questo profilo in linea con i più recenti indirizzi, la natura oggettiva dell’ipotesi di responsabilità prevista dal menzionato art. 2051 c.c. in materia di danni cagionati da cosa in custodia.

Il congiunto operare, sul piano esegetico ed applicativo, dei due principi testé richiamati è destinato a produrre - come effettivamente si sta progressivamente verificando da diversi anni - un innalzamento del grado di tutela accordato agli utenti della strada rimasti vittima di insidie e, specularmente, un aumento del rischio risarcitorio sulle spalle dei Comuni.

In punto di diritto, la richiamata sentenza del Tribunale di Verona si distingue per la lucida e opportunamente sintetica ricostruzione dell’excursus della giurisprudenza di legittimità che ha condotto ad un’estensione nei confronti dei Comuni della regola sancita dall’art. 2051 c.c. e, per altro verso, per la specificazione – sul piano pratico e operativo – dell’affermata natura oggettiva della responsabilità prevista dalla disposizione codicistica.

La configurabilità di una responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., in particolare, ha come presupposto la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato. Sussistendo tale presupposto, la responsabilità risarcitoria si imputerà al soggetto che è in condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa essendone il custode.

Accertati tali presupposti, il custode avrà un’unica possibilità di andare esente da responsabilità, da ricercarsi nella prova del caso fortuito.

Trattandosi di responsabilità oggettiva, il caso fortuito non può identificarsi nella mera assenza di colpa del custode, ma deve risolversi in un vero e proprio fattore oggettivamente individuabile, esterno alla cosa e dotato dei caratteri dell’imprevedibilità ed inevitabilità da parte del custode, che incida – interrompendola – sulla serie causale che dalla cosa conduce al danno.

I fattori esterni alla cosa, potenzialmente forieri di un pericolo non connaturato alla cosa e come tali suscettibili di integrare il caso fortuito, possono essere determinati dallo stesso danneggiato o da terzi e rilevano, ai fini dell’esclusione della responsabilità, se (e solo se) esulino dalla sfera di controllo del custode e, in particolare, dall’attività di controllo e di manutenzione da esso esigibile per garantire un intervento tempestivo di rimozione.

L’impostazione appena prospetta ha delle evidenti e sostanziali ricadute sul piano probatorio: una volta che l’attore/danneggiato abbia dato la prova del nesso causale, incomberà all’ente convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dare la prova del caso fortuito così rigorosamente inteso.

Fonte altalex.it (Altalex, 28 dicembre 2012. Nota di Raffaele Plenteda )

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