Le prove nel processo penale
LE PROVE
NEL PROCESSO PENALE
Per. Gabriele Uberti
La funzione del processo penale è quello, di provare il fatto ipotizzato nell'imputazione e le prove sono gli strumenti impiegati per realizzare tale obbiettivo.
All'inizio del processo,infatti, il fatto storico addebitato all'imputato non è certo, in quanto l'accusa ne afferma l'esistenza, mentre la difesa lo nega: provare vuol dire dunque indurre nel giudice il convincimento che il fatto storico sia avvenuto in un determinato modo.
Per tale ragione non potrà fondarsi sulla conoscenza privata del giudice, bensì su elementi esterni, appunto le prove.
In tal senso, la prova è quel procedimento logico in base al quale da un fatto noto si deduce l'esistenza del fatto storico da provare e le modalità con le quali esso si è verificato (TONINI).
In base al disposto dell'art. 187 c.p.p. sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato.
Oggetto della prova non è dunque soltanto il fatto storico cristallizzato nell'imputazione, risultando il thema probandum ben più ampio, tanto da ricomprendere:
a) i dati storici integranti la fattispecie ipotizzata nel capo di imputazione;
b) i fatti che incidono sulla punibilità;
c) i fatti che si riferiscono alla determinazione di norme processuali;
d) i fatti da cui dipende l'applicazione di norme processuali;
e) se vi è costituzione di parte civile, i fatti idonei a dimostrare l'esistenza e l'ammontare del danno.
Ciò detto, nel panorama delle prove si è soliti distinguere tra prova diretta e prova indiretta a seconda che la prova medesima abbia ad oggetto o meno un fatto attinente al thema probandum principale, quale risulta tratteggiata dall'art. 187 c.p.p.
Pertanto, è prova diretta quella che si riferisce direttamente al fatto di reato, è invece prova indiretta (o indiziaria) quella che attiene ad un fatto diverso da quello specificamente contestato all'imputato.
Come osservato dalla dottrina (LOZZI), nel caso di prova diretta il giudice dovrà compiere una sola valutazione e quindi, una volta superato il vaglio di credibilità della fonte e di attendibilità dell'elemento di prova, potrà giungere ad una affermazione positiva circa la penale responsabilità dell'imputato, mentre nel caso della prova indiziaria sarà necessaria una doppia valutazione, diretta prima di tutto a verificare l'affidabilità della prova e poi ad accertare se sia possibile o meno, facendo applicazione di una massima di esperienza o di una legge scientifica, risalire dal fatto noto al fatto ignoto con un sufficiente grado di probabilità (occorre infatti tenere presente che il fatto deve risultare provato al di là di ogni ragionevole dubbio art. 533 c.p.p.).
Sul piano normativo, la minore affidabilità della prova indiziaria è del resto confermata dall'art. 192 c.p.p., a mente del quale l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.
Per un modello di processo di stampo prettamente accusatorio impone che siano le parti a ricercare le fonti di prova e a chiedere al giudice l'ammissione del relativo mezzo di prova. In tal senso alle parti è riconosciuto il diritto alla prova, che rappresenta un aspetto essenziale del diritto di difesa.
Tale diretto compendia essenzialmente:
- ricercare le fonti di prova;
- chiedere l'ammissione del relativo mezzo;
- partecipare alla sua assunzione;
- proporre una valutazione del risultato al momento delle conclusioni.
L'art. 190 c.1 c.p.p. prevede infatti che le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.
Il potere di ammissione della prova compete invece al giudice che, nel suo concreto esercizio, deve attenersi ai seguenti criteri:
- la prova deve essere pertinente;
- la prova non deve essere vietata dalla legge;
- la prova non deve essere superflua;
- la prova deve essere rilevante.
Il principio dispositivo, cui mostra di ispirarsi il codice di procedura penale con l'art. 190 c.p.p. risulta tuttavia temperato dal riconoscimento di poteri di iniziativa probatoria officiosi, a carattere integrativo, esercitabili dal giudice nelle ipotesi in cui il quadro probatorio introdotto dalle parti impedisca al processo di assolvere al meglio la sua funzione di accertamento (si vedano in particolare gli artt. 422 c.1, 441 c. 5 e 507 c.p.p.).
Il diritto alla prova, come detto, ricomprende anche il diritto di partecipare all'assunzione del mezzo di prova. Ciò si coglie, essenzialmente, con riferimento alle prove dichiarative ( ad esempio la testimonianza), la cui assunzione in dibattimento avviene nelle forme dell'esame incrociato, nel corso del quale l'escussione del dichiarante è condotta e scandita dalle domande formulate dalle parti, nella sequenza dell'esame, controesame e riesame.
Occorre poi tener conto che vi sono dei fatti conosciuti dal giudice, risultando pertanto superflua l'ammissione e l'esperimento di un qualsiasi mezzo di prova: fatti notori e fatti pacifici.
Il fatto notorio appartiene al normale patrimonio di conoscenza di una determinata cerchia sociale e che può essere conosciuta nella sua distinta identità storica dal giudice senza le necessità di ulteriori verifiche in punto di prova (Siracusano) si dice, infatti, che notoria non egent probatione.
Il fatto pacifico è invece un fatto privato, che non appartiene al bagaglio conoscitivo della collettività.
Infine, il diritto alla prova si sostanzia nel diritto ad ottenere una valutazione degli elementi probatori introdotti da ciascuna parte nel processo.
La tipicità dei mezzi di prova e le prove atipiche, dispone al riguardo l'art. 189 c.p.p. quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la liberta morale della persona. Il giudice provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione.
Preferendo trasferire in capo al giudice il compito di vagliare preliminarmente, caso per caso ed in concreto, sentite le parti, l'ammissibilità di tali prove, sia sotto il profilo dell'idoneità all'accertamento che in ordine alle modalità di assunzione.
La prima condizione che deve ricorrere perché la prova atipica possa fare ingresso nel processo è che la stessa sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti.
Inoltre, la prova atipica non può comunque essere usata per violare libertà fondamentali, essa pertanto non deve pregiudicare la libertà morale della persona.
Il codice di procedura penale configura un processo penale che, in sintonia con i principi della Costituzione repubblicana e delle Convenzioni internazionali ratificate dallo Stato italiano, si fonda su un sistema di tipo accusatorio in virtù del quale salve limitate eccezioni la sentenza che pone fine al processo deve fondersi sulle acquisizioni probatorie scaturenti dalla dialettica paritaria tra accusa e difesa, nel rispetto delle fonti del diritto.
Il principio del contraddittorio nella formulazione della prova va inteso secondo un duplice significato, oggettivo e soggettivo: da un lato, quale metodo cognitivo di accertamento giudiziale dei fatti (art. 111 c. 4 Cost.) e, dall'altro, quale diritto dell'imputato a confrontarsi con il proprio accusatore (art. 111 c.3 Cost.).
Sotto il primo profilo contraddittorio in senso oggettivo è dunque inteso come metodo di conoscenza, ossia quale strumento processuale funzionale ad assicurare la genuinità della prova.
Il contraddittorio in senso soggettivo riconosciuto comma 3 dellart. 111 Cost., afferma che l'imputato ha la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, a tale prescrizione fa eco la seconda parte dell'art. 111 c. 4 Cost. che, introducendo un esplicito divieto probatorio, sancisce la inutilizzabilità, ai fini dell'emissione di una sentenza di condanna, delle dichiarazioni rese da chi, per liberta scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
Si riconosce così all'imputato il diritto a confrontarsi con il proprio accusatore si tratta di una previsione che va a collegarsi direttamente con l'art. 24 Cost. e quindi con il diritto di difesa e che risulta funzionale alla tutela dell'imputato; il principio del contraddittorio, così come enunciato in chiave soggettivistica, si atteggia dunque quale garanzia individuale.
Il principio del contraddittorio soffre tuttavia di alcune eccezioni indicate nel comma 5 dell'art. 111 Cost. la prova è utilizzabile, anche se si è formata fuori dal contraddittorio, quando l'imputato vi consente, ovvero quando la stessa non è ripetibile in dibattimento per accertata impossibilità di natura oggettiva, ovvero per effetto di provata condotta illecita.
Quando vi è consenso dell'imputato la clausola in oggetto si riferisce principalmente ai riti deflativi del dibattimento (giudizio abbreviato, patteggiamento, decreto penale di condanna). L'imputato può infatti decidere di rinunciare al contraddittorio ed al dibattimento, con un notevole risparmio di tempo ed ottenendo in cambio uno sconto di pena.
La seconda deroga riguarda l'accertata impossibilità di natura oggettiva, e fa riferimento essenzialmente ai casi di non ripetibilità della prova in dibattimento per ragioni di carattere obiettivo, ovvero indipendenti dalla volontà del dichiarante.
Ultima eccezione è prevista nell'ipotesi in cui la mancata attuazione del contraddittorio costituisca effetto di provata condotta illecita. Il legislatore in questo caso si riferisce al fenomeno intimidatorio, alla violenza, minaccia o subornazione, cui sia stato sottoposto il dichiarante in vista della sua deposizione in dibattimento, affinché il medesimo non deponga il falso.
Pertanto, qualora all'esito di un giudizio sommario il giudice ritenga provata la violenza, la minaccia o la subornazione, le precedenti dichiarazioni transiteranno nel fascicolo per il dibattimento.
La deroga del contraddittorio, allora, dovrà considerarsi soltanto apparente, che consiste nel sottoporre al giudice contributi probatori genuini ed utili della decisione, ferma ovviamente la loro valutazione in punto di attendibilità e credibilità.
Per. Gabriele Uberti
Tocco da Casauria lì 11/07/2014
Bibliografia
- Sara Farini - Compedio di Diritto Processuale Penale - Capitolo III - LE PROVE