Incidente stradale

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Risarcimento del danno e antieconomicità della riparazione

Tribunale di Padova, sentenza 15.02.2010 n° 9727 (Alessandro Verga)

 

Risarcimento del danno a seguito di incidente stradale: come si determina il quantum in caso di antieconomicità delle riparazione?

Nel caso di avvenuto sinistro stradale, uno dei principali problemi che i giudici si trovano ad affrontare è quello della quantificazione del danno risarcibile. Sebbene esso, solitamente, sia di facile determinazione, conformandosi la pronuncia alle fatture presentate dal danneggiato, forti dubbi sono sorti laddove le riparazioni si rivelino antieconomiche, cioè più onerose rispetto al valore di mercato dell’automezzo al tempo dell’avvenuto sinistro.

In passato, l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità in materia di riparazioni antieconomiche ammetteva la possibilità, per il giudice di merito, di condannare al risarcimento del danno per equivalente ex art. 2058, comma 2, c.c. nei casi in cui quello richiesto in forma specifica potesse comportare costi di riparazione notevolmente superiori al valore del veicolo ante sinistro ([1]); il risarcimento del danno per equivalente, infatti, si estrinseca nella valutazione della differenza tra il valore del bene nello stato in cui si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito ed il valore del bene leso, mentre la reintegrazione in forma specifica consiste sia nella pretesa che il danneggiante provveda al ripristino della situazione materiale, sia nella domanda di una somma di denaro corrispondente alle spese necessarie per il ripristino.

La giurisprudenza di merito, però, non sempre si è adeguata all’orientamento dei giudici di legittimità.

Da un lato, infatti, vi sono state pronunce che hanno negato risolutamente la risarcibilità del danno integrale qualora il costo delle singole riparazioni fosse superiore al valore del veicolo ante sinistro ([2]), dall’altro, ve ne sono state altre in senso contrario, che hanno ammesso il risarcimento integrale del danno anche in caso di riparazioni antieconomiche, seppur con valutazioni da compiere caso per caso ([3]).

Detto questo, appare ora opportuno analizzare nel dettaglio i principi su cui tutt’oggi la giurisprudenza tende a fondare le proprie decisioni in caso di antieconomicità delle riparazioni derivanti da sinistro.

Prima di tutto, devesi rilevare che il principio fondamentale dal quale si deve partire per determinare il quantum del risarcimento spettante al danneggiato sia quello di porre il patrimonio di quest’ultimo nello stesso stato in cui si sarebbe trovato in assenza dell’avvenuto fatto dannoso ([4]), con il limite, ovviamente, dell’effettiva perdita subita ([5]).Tutto questo può avvenire, ai sensi dell’art. 2058 c.c., o mediante il pagamento di una somma pari alla diminuzione di valore subita dal bene leso (risarcimento per equivalente) o, quando sia possibile, restituendo al bene stesso il medesimo valore che esso aveva precedentemente alla lesione (risarcimento in forma specifica).

Corollario al predetto principio è che il risarcimento non possa comunque creare a favore del danneggiato una situazione migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato in assenza del sinistro, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dallo stesso ([6]). Ciò per via della regola dellacompensatio lucri cum damno, per la quale dalla pretesa quantitativa del danno vanno detratti gli eventuali vantaggi che il fatto dannoso abbia procurato al danneggiato come conseguenza diretta ed immediata.

Perciò, da un lato, il danneggiato non deve realizzare una locupletazione per effetto del danno subito, dall’altro, la liquidazione del danno non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene danneggiato, ma deve avere per oggetto l’intero pregiudizio subito dal soggetto leso poiché, appunto, il risarcimento è diretto alla completarestituito in integrum del patrimonio del danneggiato ([7]). Ciò vuol dire che il giudice, laddove la riparazione del pregiudizio subito vada oltre la ricostruzione della situazione anteriore e produca un vantaggio economico al danneggiato, dovrà tenerne conto riducendo corrispondentemente la misura del risarcimento.

Non bisogna però dimenticare che, sebbene sia molto difficile che a seguito delle riparazioni, rese necessarie dal fatto dannoso, un automezzo acquisti un valore commerciale più elevato rispetto a quello anteriore al sinistro, l’avvenuta sostituzione di pezzi, probabilmente già usurati, ne potrebbe garantire una più elevata funzionalità nonché una corrispondente rivalutazione economica. Perciò, da un lato, è ovvio che un veicolo coinvolto in un incidente di una certa gravità, anche se riparato a regola d’arte, non è commercialmente equiparabile ad un altro mai incidentato ([8]), dall’altro, la sostituzione dei vecchi pezzi con degli altri nuovi produce sicuramente un aumento della “vita”, o durata che si voglia dire, del mezzo ([9]).

Nella determinazione del danno, quindi, rivestiranno importanza il valore ante sinistro dell’auto, la sua vetustà, il deprezzamento subito a seguito dell’incidente, la natura e l’entità delle riparazioni effettuate nonché la maggior funzionalità che esse potrebbero garantire al mezzo.

Oltre a tutti questi parametri, ovviamente, dovranno tenersi in considerazione sia le spese per il fermo tecnico dell’automezzo, cioè il c.d. danno da fermo tecnico, determinate conteggiando i giorni lavorativi occorsi per rimettere in buono stato il veicolo, sia le spese per il noleggio di una vettura sostitutiva.

Per finire, l’I.V.A. deve essere riconosciuta come parte integrante del risarcimento del danno da circolazione stradale solo, però, nel caso di effettivo avvenuto esborso, documentato attraverso l’esibizione di fattura in originale e non sulla base delle presentazione di un semplice preventivo di spesa.

Quindi, per trarre le conclusioni di quanto si è venuto dicendo fino ad ora, il modo corretto di determinare la quantificazione del danno in caso di riparazioni antieconomiche è quello di analizzare il caso concreto partendo dalle spese effettivamente poste in essere per la riparazione del mezzo e, tenuti in considerazione tutti i parametri enunciati fino ad ora, riducendo proporzionalmente l’intero importo laddove tale somma possa produrre un vantaggio economico al danneggiato rispetto ai danni effettivamente subiti.

Per quanto riguarda la sentenza pronunciata il 15 febbraio 2010 nella causa R.G. n. 9727/2004, nella quale il Giudice Monocratico di Padova ha rideterminato nel giudizio di appello la quantificazione del danno antieconomico a seguito dell’avvenuto sinistro stradale, non può che rilevarsi come essa sia proprio una sintesi di quanto detto finora, basatasi non solo sull’applicazione della più recente giurisprudenza della Suprema Corte, rappresentata dalla sentenza n. 8062/01, ma, soprattutto, su una fondamentale idea di giustizia.

(Altalex, 28 maggio 2010. Nota di Alessandro Verga. Cfr. nota su Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza)

 

Fonte altalex

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